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Enrico Bottone

Enrico Bottone nasce a Napoli nel 1934.

Questa è la sua testimonianza.


La mia era una famiglia medio-borghese, mia madre era casalinga, mio padre era carabiniere. Avevo un fratello e tre sorelle, due delle quali, Rita e Filomena, hanno perso la vita insieme a mia madre, Rosa Cozzino, il 29 settembre 1943. Ricordo bene questa data, i tedeschi avevano disposto delle mitragliatrici lungo tutto il perimetro dello stadio Collana e in quel giorno avevano aperto il fuoco. I colpi delle mitragliatrici arrivarono fin dentro casa nostra, ferendo mia madre al petto e una delle mie sorelle all'addome: entrambe sono morte sul colpo. Un'altra sorella fu colpita alla bocca, tuttavia fiusci a scendere in strada, dove fu soccorsa da un'ambulanza e portata in ospedale. Noi non riuscimmo a sapere dove fosse stata ricoverata, la ritrovammo solo alcuni giorni dopo già morta, mentre il suo corpo era in stato di decomposizione, la riconoscemmo soltanto grazie ad un braccialetto che portava sempre al polso. Riuscimmo a salvarci solo in tre: io, mio fratello e la mia ultima sorella; ci trovavamo, infatti, esattamente dall'altra parte della casa. Abitavo in un palazzo vicino al campo Littorio, l'attuale stadio Collana, ma solo una parte dell'appartamento dava sul campo: era qui che si trovavano mia madre e le mie due sorelle. Dopo questa terribile strage, eravamo rimasti soli, poiché avevamo già perso nostro padre, morto diciotto mesi prima, a causa di un'emorragia dovuta ad un'operazione allo stomaco. Per questo motivo fummo affidati a mia zia, la quale si prodigò tanto per farci ottenere un sussidio, che la burocrazia stentava a concederci. Pochi anni dopo, nel 1946, persi anche mio fratello maggiore, il quale, recatosi a Roma dal senatore Sereni, fu ritrovato morto sulle rive del Tevere. Non venimmo mai a sapere le cause di quella morte, eravamo solo riusciti a capire che si era trattato di un omicidio, ma non avevamo mai avuto neppure la più pallida idea di chi potesse essere stato l'assassino. Certo è che mio fratello era di orientamento tutt'altro che fascista, fu proprio questo a far nascere in noi qualche sospetto. Quegli anni hanno lasciato senza dubbio in me un segno molto profondo.

Mi avete chiesto cosa pensassi dei tedeschi... in realtà ancora oggi il popolo tedesco suscita in me un sentimento di rabbia e di rancore, e, nonostante io sia perfettamente cosciente del fatto che i tempi siano cambiati e che la Germania di Hitler non esista più, non posso fare a meno di provare un odio profondo verso quelle persone che mi hanno portato via i miei affetti più cari. Quello che mi sento di dirvi come messaggio della mia esperienza è che è importante trasmettere la memoria, perché chi non ricorda il passato non può costruire il futuro!

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