Ada Murolo nasce nel 1924, insegnante in pensione, vive ad oggi nel quartiere Vomero in Via Fracanzano. Entrambi i genitori erano funzionari delle Poste e Telegrafi, il padre svolgeva la funzione di ragioniere. Il suo nucleo familiare era composto da sei persone, genitori, tre fratelli, una zia convivente.
Ecco la sua testimonianza sugli anni 1942 - 1943. La guerra l'abbiamo vissuta sulla nostra pelle, non si mangiava, non si beveva, le scuole erano chiuse, andavamo a letto pensando se il giorno dopo saremmo stati ancora vivi. Abitavamo in Via Fracanzano, angolo Via Gemito, uscendo dal palazzo vedevamo lo stadio. Avevamo anche un rifugio di fortuna. Nel nostro palazzo c'era anche un'altra famiglia, la mamma era di Prato e uno dei figli faceva il meccanico. Quando c'erano le incursioni il ragazzo non si trovava mai, arrivava sempre quando la sirena annunciava il cessato pericolo. Aveva diciotto anni e si chiamava Armando. Diceva sempre che era tornato a casa sotto le bombe per non far impensierire la madre e ci raccontava delle bombe lanciate sulla città. Mia madre e mio padre erano funzionari delle Poste e Telegrafi. Mio padre, Enzo Lucio Murolo, si occupava anche di teatro, a spingerlo erano stati i suoi stessi colleghi di lavoro. All'interno delle Poste, in Via Cesare Battisti, c'è tuttora una targa che ricorda i funzionari artisti, il nome di mio padre è tra quelli di Matilde Serao e di E. A. Mario. Mangiavamo patate lesse e qualche volta delle noci che mio padre aveva in regalo, d'acqua ne avevamo poca e per lavarci riempivamo la vasca come scorta, mentre quella per bere la prendevamo da una fontanella che si trovava all'angolo con Via Gemito. Nostra zia era addetta a questo compito. Mio fratello di tredici anni, Claudio Libero Murolo, era alto e biondo, sembrava più grande della sua età e indossava i pantaloni alla zuava. L'altro mio fratello, Vittorio, stava in casa perché era più piccolo. Un giorno sentimmo un trambusto per le scale... la signora di Prato, che si chiamava Margherita Salvati, urlò rivolgendosi a mia zia: "Signora, arrivano i tedeschi, si stanno prendendo tutti i ragazzi!". Era la fine del settembre 1943. I ragazzi scapparono, anche Armando, che si rifugiò al Pagliarone, in Via Belvedere, dove c'era un pozzo secco, tutti i ragazzi si nascosero lì. In seguito ad una soffiata, i tedeschi fecero un'incursione, costrinsero i ragazzi ad uscire dal pozzo e li fuci-larono. Morì anche Armando Amato. Il suo nome è il primo sulla lapide dei caduti. Sua madre
impazzì dal dolore. Noi eravamo rimasti a casa. I camion tedeschi arrivarono, ma superarono il palazzo. Io con i miei occhi li ho visti ripartire pieni di giovani. Posso fare anche i nomi: Langella, Somma... Portavano con sé una coperta e un cucchiaio. Ho visto le donne piangere. Mia zia diceva spesso a mio fratello di togliersi i pantaloni alla zuava per non sembrare più grande della sua età. Tanti ragazzi non sono mai più tornati. Con questi precedenti eravamo distrutti, non ne potevamo più. Con un'ordinanza ci fu detto che bisognava consegnare tutte le armi, anche quelle da caccia. Una mattina abbiamo sentito urlare "Ci sono i tedeschi allo stadio Littorio!", così abbiamo saputo dell'insurrezione, tutti si armarono, fu allora che uscirono le armi che erano state nasco-ste, e tante! Mio padre ci chiuse in casa e sbarrò le persiane. Non si poteva uscire neanche più per prendere l'acqua.
Al secondo piano del nostro palazzo abitava la famiglia Vitale che aveva un figlio malato di mente, il ragazzo un giorno apri un po' la finestra e subito parti un colpo che si conficcò nell'into-naco del balcone. Quei segni sono rimasti fino a qualche anno fa, quando abbiamo fatto i lavori di ristrutturazione del palazzo.
Bisognava stare sempre attenti, c'erano da tutte le parti tedeschi, cecchini e fascisti che si erano arruolati con i tedeschi. Al numero 17 della strada in cui vivevo, nel palazzo di fronte, abitava un tale che si chiamava Lomonaco, lo chiamavano lo squadrista. In quei giorni si riscattò: al primo piano, fuori al balcone, cominciò a dare indicazioni alle persone ed ad avvertire i passanti. Avvisava che bisognava stare attenti, ma molti non capirono la gravità della situazione L'insurrezione fu inaspettata e la gente era impreparata. Enzo Errai ha scritto un libro, Le quattro giornate che non ci furono, è un lestofante, io posso smentirlo e per questo ho scritto anche una lettera di protesta a Il Mattino. L'insurrezione c'è stata e come, e vi hanno combattuto persone insospettabili. Un ragazzino di sedici anni, si chiamava Paolo, si è battuto da eroe. Veramente siamo stati tutti degli eroi.
Poi arrivò il colpo di grazia quando, dopo la nostra insurrezione, arrivarono gli americani che, negando la partecipazione del popolo, si presero i meriti della liberazione di Napoli. I veri eroi sono gli sconosciuti.
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