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Edoardo e Adolfo Pansini: un settembre senza retorica

di Giuseppe Aragno


Adolfo Pansini nel carcere di Sant' Eframo

Nei documenti di archivio i fatti del settembre ’43 sono diversi da quelli che racconta il rituale delle commemorazioni; l’armistizio non è la «morte della patria» e le Quattro Giornate non le ha fatte una città di lazzari e scugnizzi. Mentre osservo avvilito carte preziose, minacciate dai tagli alle spese e dalle ingiurie del tempo, mi assale l’angoscia. Il mio sogno è un settembre senza retorica. Dei tragici giorni in cui i «compiti a casa» li assegnava la storia, vorrei parlare alla Merkell per raccontarle di soldati tedeschi pallidi come cenci – la paura non è un’esclusiva dei PIGS – con un fazzoletto bianco stretto al braccio in segno d’una pace che non verrà. Era il 9 settembre e quegli uomini conoscevano i buoni motivi per cui la gente li stimava poco. Non era questione di un banale dissidio tra presunte cicale e sedicenti formiche. Nonostante la scuola prussiana, per troppo tempo si erano dovute difendere le donne da militari «alleati» che non confermavano la favola tradizionale della galanteria teutonica; per troppo tempo s’era lottato coi depositi di munizioni celati dai «furbi» soldati del Reich in condomini esposti a bombe angloamericane. Nemmeno la furbizia è merce tutta mediterranea. In quanto al mito della «corretta amministrazione», il contrabbando di carne, messo su dal Comando Aeronautico tedesco, aveva arricchito la mensa ufficiali e «privatizzato» i velivoli della Luftwaffe, per portare la merce nel Reich e farci affari d’oro. Nessuno dei nostri politici, dopo l’anticamera col cappello in mano, ha ricordato alla Merkell che ognuno ha la sua storia e meglio sarebbe non salire in cattedra. Nessuno ha mostrato alla «maestra» tedesca gli ordini dei Comandi della Wermacht che autorizzavano furti e rapine. Eppure anche questo è amministrare. Per il buon esito della guerra, Kesserling e i suoi incorruttibili ufficiali non si limitarono a requisire armi, automobili e autocarri; arraffarono anche «apparecchi radio, strumenti musicali, orologi da polso e da tasca, macchine fotografiche e strumenti ottici». E poiché, come vuole la dottrina Merkell, anzitutto si bada al bilancio, l’ordine era chiaro: «il controvalore degli oggetti è da mettere in conto alla Prefettura». Gli italiani derubati pagarono così il debito tedesco. Fa pena al cuore un settembre che tornerà sugli scugnizzi. A me piacerebbe raccontare di Edoardo Pansini e del figlio Adolfo, che nessuno ricorda perché la loro insurrezione non è compatibile con lo stereotipo degli Alleati «liberatori» e del popolo lazzarone che si leva in armi per fame, poi vende il voto al miglior offerente. Come inserire in questo rozzo cliché Adolfo Pansini? Come farci entrare uno studente che a diciott’anni va in galera perché organizza giovani antifascisti e a venti cade, armi in pugno, nelle Quattro Giornate? Come far posto a Edoardo, il padre, che l’ha educato agli ideali di Mazzini e sta con gli azionisti? Meglio, mille volte meglio, gli scugnizzi incoscienti e sanfedisti. Edoardo Pansini, che sopravvive al figlio, è un personaggio scomodo: rappresenta idealmente quella parte di città che non accetta di essere «liberata», come i settantaquattro militari napoletani che, nei Balcani, dopo l’armistizio, entrano nella «Divisione Italia» e danno man forte ai partigiani di Tito. Non a caso, Pansini non scioglie il suo gruppo, prova a stanare i gerarchi, sfonda le porte delle loro case, sequestra il cibo che vi nascondono per alimentare il mercato nero e lo distribuisce al popolo stremato. Ha replicato con fermezza alla tracotanza nazifascista, ha messo i «democratici» Alleati di fronte a un popolo che possiede coraggio e dignità, ma questo non conta. Pansini è un intralcio per gli americani, che non vogliono colpire i fascisti e lasciarsi alle spalle gente libera di cui temere. Sono loro, gli americani, a chiudere una sua rivista già censurata dal regime, mentre le manette dei carabinieri chiudono la sua carriera di rivoluzionario. Il Codice Rocco, ancora oggi prodigo di aiuti per chiunque miri alla dignità d’un popolo, giunge a immediato sostegno e il capo partigiano dovrà difendersi dall’accusa di violazione di domicilio e furto della merce sottratta al contrabbando. La repubblica per cui Adolfo Pansini morì e uomini come suo padre lottarono non è forse mai nata. Prevalsero la fedeltà ai blocchi nati a Yalta e l’antifascismo degli «uomini d’ordine» come Giovanni Leone, futuro Presidente della Repubblica, che in Tribunale difese i collaborazionisti, nemici giurati dei partigiani. Per il grande avvocato s’era trattato solo di cause di forza maggiore, per il politico si poteva accettare tutto, tranne un popolo che decide di sé. Un modo come un altro per saldare conservatori e reazionari a tutela di interessi di classe. Un’intesa spuria che l’Europa delle banche ha rafforzato e non riguarda più solo l’Italia. E’ per questa sintonia classista che la Cancelliera tedesca può farci lezione e assegnarci i suoi «compiti» deliranti.

Uscito su Report on Line il 3 settembre 2013, su Liberazione il 5 settembre 2013 e sul Manifesto l’8 settembre 2013

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